Franco quella mattina si svegliò di
soprassalto alla terza scampanellata del suo gracchiante campanello. Prima o
poi avrebbe dovuto sostituirlo, non poteva rischiare l’infarto ogni volta che
qualcuno avesse suonato alla porta di casa sua. Si alzò dal letto e percorse a
rilento tutto il corridoio, bofonchiando parole incomprensibili e chiedendosi
chi potesse cercarlo a quell’ora del mattino. - Chi è? Chi è? – Chiese con voce
impastata. Dall’altra parte del citofono non rispose nessuno. Evidentemente la
persona che aveva suonato per ben tre volte senza ricevere risposta alcuna si
era stancata di attendere e se n’era andata. Franco tornò in camera
sgambettando come se stesse salendo dei gradini invisibili, sedette sul bordo
del suo letto mezzo disfatto e fissò in silenzio per un minuto abbondante la
parete che si ergeva silenziosa innanzi a lui. Quella parete era spoglia di
quadri, mobili o altro; quindi ciò che stava fissando con apparente interesse
altro non era che il colore bianco antimuffa, che con ben poca maestria e
bravura aveva spennellato un po’ qua e un po’ la per i muri di casa l’estate
precedente.
Alessio Baù, L’aria, in Il canto della
cicala
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