“Il
castello, nel qual il mio domestico s'era deciso di penetrare a viva forza,
anziché permettermi, deplorevolmente ferito come io era, di passare una notte
all'aria aperta, era una di quelle costruzioni, indecifrabile miscuglio di
grandezza e melanconia, che hanno per sì lungo tempo innalzate le loro rocche
eccelse in mezzo agli Appennini, tanto nella realtà quanto nell'immaginazione
di miss Radcliffe. Secondo ogni apparenza, esso era stato abbandonato
temporariamente e tutt'affatto di recente. Noi ci adattammo in una camera fra
le più piccole e le meno riccamente ammobiliate, posta in una torre appartata
dal fabbricato. Lungo i muri erano tese delle tappezzerie adorne di numerosi
trofei araldici d'ogni forma, nonché di una quantità veramente prodigiosa di
pitture moderne, in sontuose cornici dorate, d'un gusto arabesco. Io provai
tosto un vivo interesse (e la causa ne era forse il delirio che incominciava )
per questi dipinti che erano affissi, non solamente sulle pareti principali
delle diverse camere, ma altresì in una sequela di anditi e corridoi che, per
la bizzarra architettura del castello, dovevamo passare inevitabilmente;”
Edgar
Allan Poe, Il ritratto ovale, in Racconti
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