lunedì 31 ottobre 2016

Una cortina di nebbia biancastra



“Forse realmente ignorava la leggenda. Un po’ Antonio lo compativa, perché quell’uomo vestito di un abito grigio scuro ed un cappotto pesante abbottonato fino al collo, con il bavero rialzato e lo sguardo stanco ed infreddolito, ignorava di trovarsi al cospetto di una notte lunga come l’agonia e crudele come la morte di una persona cara. Lo straniero non poteva capire tutto ciò; non poteva immaginare il sangue che quella notte avrebbe corrotto il selciato umido e sporco di quella città, che per una notte intera avrebbe fatto da spettatore impotente e rassegnato ad una tragedia annunciata ma inevitabile. Antonio uscì da dietro il proprio tavolo di lavoro, passò di fianco allo straniero e gli fece cenno di seguirlo. Uscirono dalla bottega, Antonio davanti e subito dietro il forestiero, che continuava a non capire il motivo di tutto quel mistero e guardava torvo l’orologiaio. I due uomini giunsero fin quasi al centro della piazza. Tutt’intorno non si scorgeva alcunché, se non una spessa cortina di nebbia biancastra, così fitta che a tratti sembrava assumere consistenza, prendere quasi forma e vivere di una vita effimera, spezzata non appena la forma fosse cambiata e si fosse tramutata in qualcos’altro”.
Alessio Baù, La statua, in Racconti notturni

giovedì 27 ottobre 2016

Una brezza proveniente dal lago



“Le ultime botteghe sotto i portici stavano ormai chiudendo i loro battenti, a conclusione di una giornata non eccessivamente afosa, sovente inebriata da una brezza che il lago spingeva generosamente verso la riva. Gli ultimi turisti della stagione si attardavano a chiacchierare e sorseggiare vino rosso sotto il pergolato che si affacciava sulla piazzetta del paese; ascoltavano i racconti a metà tra il reale ed il fantastico di Orfeo, un vecchio che, a sentir lui, aveva passato la propria vita a fare il pescatore, a sentire invece il paese aveva fatto il contrabbandiere tra Italia e Francia fin dal dopoguerra. Anche quello era un paese come ce n’erano tanti sparsi qua e là per l’Italia. Se qualcuno avesse voluto sapere qualcosa su uno dei suoi abitanti, non avrebbe dovuto chiedere all’interessato, ma gli sarebbe stato sufficiente trascorrere una mezz’oretta all’osteria della piazza la domenica mattina, subito dopo la messa delle dieci, e fare qualche chiacchiera con le persone appena uscite dalla chiesa”.
Alessio Baù, La signora del lago, in Il canto della cicala
Vai a Il canto della cicala

martedì 25 ottobre 2016

I borghesi di Parigi



“Eppure il 6 gennaio 1482 non è un giorno di cui la storia abbia conservato il ricordo. L’avvenimento che a quel modo metteva in moto, di prima mattina, le campane e i borghesi di Parigi non aveva nulla che fosse degno di nota. Non era un assalto di piccardi o di borgognoni, né un reliquiario portato in processione, né una rivolta di studenti nella vigna di Laas né un ingresso del nostro assai temuto signore messere il re, e neppure una bella impiccagione di ladroni e di ladrone sulla piazza della Justice di Parigi. E neppure l’arrivo improvviso, così frequente nel quindicesimo secolo, di qualche ambasceria gallonata e impennacchiata. Erano appena dieci giorni che l’ultima cavalcata di questo genere, quella degli ambasciatori fiamminghi incaricati di concludere il matrimonio tra il delfino e Margherita di Fiandra, era entrata a Parigi con gran fastidio del signor cardinale di Borbone…”
Victor Hugo, Notre-Dame de Paris

lunedì 24 ottobre 2016

Un paese vuol dire non essere soli



“Così questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Anche adesso che il mondo l’ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto. Uno gira per mare e per terra, come i giovanotti dei miei tempi andavano sulle feste dei paesi intorno, e ballavano, bevevano, si picchiavano, portavano a casa la bandiera e i pugni rotti. Si fa l’uva e la sia vende a Canelli;  si raccolgono i tartufi e si portano ad Alba. C’è Nuto, il mio amico del Salto, che provvede di bigonce e di torchi tutta la valle fino a Camo. Che cosa vuol dire? Un  paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Cesare Pavese, La luna e i falò   

venerdì 21 ottobre 2016

Grandezza e melanconia



“Il castello, nel qual il mio domestico s'era deciso di penetrare a viva forza, anziché permettermi, deplorevolmente ferito come io era, di passare una notte all'aria aperta, era una di quelle costruzioni, indecifrabile miscuglio di grandezza e melanconia, che hanno per sì lungo tempo innalzate le loro rocche eccelse in mezzo agli Appennini, tanto nella realtà quanto nell'immaginazione di miss Radcliffe. Secondo ogni apparenza, esso era stato abbandonato temporariamente e tutt'affatto di recente. Noi ci adattammo in una camera fra le più piccole e le meno riccamente ammobiliate, posta in una torre appartata dal fabbricato. Lungo i muri erano tese delle tappezzerie adorne di numerosi trofei araldici d'ogni forma, nonché di una quantità veramente prodigiosa di pitture moderne, in sontuose cornici dorate, d'un gusto arabesco. Io provai tosto un vivo interesse (e la causa ne era forse il delirio che incominciava ) per questi dipinti che erano affissi, non solamente sulle pareti principali delle diverse camere, ma altresì in una sequela di anditi e corridoi che, per la bizzarra architettura del castello, dovevamo passare inevitabilmente;
Edgar Allan Poe, Il ritratto ovale, in Racconti

giovedì 20 ottobre 2016

Le ore più gradevoli ed intense




“Era un martedì; la maggior parte dei vicini di casa di Antonio era già a letto perché l’indomani sarebbe andata al lavoro. Solo di tanto in tanto qualche gatto miagolava alla luna, qualche uccello cinguettava, qualche ramo frusciava lievemente per colpa di una folata di vento forse un po’ troppo impetuosa e insistente. Questi erano gli unici rumori che tenevano compagnia ad Antonio, mentre si sollazzava e si rilassava in quel terrazzo, che era stato uno dei motivi per cui aveva deciso a suo tempo di acquistare quella casa. Per lui queste ore della giornata erano le più gradevoli ed intense, perché metteva in un cassetto tutto il delirio quotidiano, tutti i problemi che costellavano la sua attività lavorativa, tutte le fatiche e la sua routine monotona ed irritante, per lasciare spazio ai suoi pensieri, alle sue riflessioni, ai suoi sogni. Piccoli ma preziosi spazi temporali che da soli ripagavano ore intere vissute quasi senza un motivo vero, senza una vera strada da percorrere, ore intrise solo di futili e materiali occupazioni, necessarie però per poter sopravvivere e tirare avanti, adeguandosi a ciò che la società ormai imponeva e richiedeva a ciascuna persona umana”.
Alessio Baù, Annessi e connessi