giovedì 29 settembre 2016

Sulla riva del fiume



“Era una bellissima mattina primaverile, di domenica. Georg Bendemann, giovane commerciante, era seduto nella sua camera al primo piano di una delle case basse, dai muri sottili, che in lunga fila si susseguivano sulla riva del fiume, differendo l'una dall'altra quasi unicamente per l'altezza e la tinta. Aveva appena terminato di scrivere a un suo amico di gioventù che abitava all'estero: suggellò pian piano la lettera, attardandosi, e poi, appoggiati i gomiti alla scrivania, si mise a guardare il fiume, il ponte e le colline coperte di verde pallido che sorgevano sulla riva opposta. Ripensava ai casi di quell'amico: insoddisfatto dell'esistenza in patria, qualche anno prima si era rifugiato - è la
parola esatta - in Russia. Ora svolgeva un'attività in proprio a Pietroburgo, dapprincipio assai bene avviatasi, ma che da tempo sembrava stagnare: così almeno si lamentava l'amico, nelle sue sempre più rare visite”.
Franz Kafka, La sentenza, in La metamorfosi e altri racconti

mercoledì 28 settembre 2016

Gli Allegri Barcaioli



“Agli Allegri Barcaioli, accanto alla porta, c’era un banco con dei conti con molte cifre scritte con il gesso sul muro, così lunghi da far pensare che non potessero essere saldati mai. Essi erano là da quando mi è dato ricordare, ed erano cresciuti più di quanto fossi cresciuto io. Ma dalle nostre parti il gesso abbondava, e forse la gente non voleva lasciarsi sfuggire un’occasione per trarne profitto. Essendo sabato sera trovai l’oste che stava osservando con aria arcigna queste annotazioni, ma siccome ero venuto per Joe e non per lui, gli detti appena la buonasera e passai direttamente nella sala per il pubblico in fondo al corridoio. Sul focolare ardeva un bel fuoco e Joe stava fumando la pipa in compagnia  del signor Wopsle e di uno sconosciuto. “Ohilà! Pip, vecchio mio!” e mentre mi diceva queste parole, proprio nello stesso momento, lo straniero si volse e mi guardò”.
Charles Dickens, Grandi speranze

martedì 27 settembre 2016

La stazione di posta



"La neve era scesa copiosa e taciturna per tutta la sera, senza avvertire nessuno, senza farsi sentire, senza lasciare che gli abitanti della vallata, che se ne stavano tranquilli dentro ai loro letti tiepidi, potessero prepararsi, il mattino seguente, a quella sua repentina quanto inattesa apparizione.
Roberto andò alla finestra e scrutò il buio che gironzolava nel piccolo cortile laterale della sua abitazione, che altro non era che la stazione di posta del valico, al confine tra il Piemonte e la Svizzera. Viveva da sempre in quella casa, in quella vallata, in quella porzione di langa, tutta circondata da montagne che rendono difficile ogni spostamento, soprattutto nel periodo invernale, quando la neve arriva anche a un metro e mezzo. Non era il miglior posto del mondo dove vivere, soprattutto se da soli, ma il suo era un destino già scritto, perché, prima di lui, erano stati doganieri proprio in quel valico il padre ed il nonno ed entrambi avevano vissuto lì con la propria famiglia. Il fuoco, che animava il caminetto buttato su un angolo della grande cucina, spandeva per tutta la stanza un tepore che rasserenava e dava un senso di tranquillità e sobrietà".
Alessio Baù, Il confine, in Racconti notturni
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lunedì 26 settembre 2016

Un giovane di diciotto anni



“Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino, la Città di Montereau, sul punto di partire, fumava a gran vortici davanti al lungosenna San Bernardo. Arrivava gente col fiato grosso; barili, cordami, ceste di biancheria impicciavano la circolazione; i marinai non rispondevano a nessuno; era tutto un pigia pigia; i colli di merce s’ammucchiavano tra i due tamburi delle ruote, e il chiasso si fondeva col sibilo del vapore, che sfuggendo tra le piastre di lamiera, avviluppava tutto in una nuvola biancastra, mentre la campana di prua rintoccava senza posa. Infine il battello partì e le due sponde, affollate di magazzini, di cantieri e di officine, si srotolarono come larghi nastri. Un giovane di diciotto anni, con i capelli lunghi e un album sotto il braccio, stava presso il timone, immobile, contemplando, attraverso la nebbia, campanili ed edifici di cui ignorava il nome; poi, con un’ultima occhiata, abbracciò l’isola di San Luigi, la Cité, Notre-Dame, e, quando Parigi disparve, mandò un gran sospiro”.
Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale

sabato 24 settembre 2016

Una macchia di varie tonalità di verde




Il giardino d’inverno. Il nome è molto suggestivo, evoca romanticismo, paesaggi fiabeschi, talvolta anche onirici. I letterati del dopo lavoro potrebbero sbizzarrirsi e riempire centinaia e centinaia di pagine mediocremente scritte e sciattamente confezionate. Eppure non è altro che un parco, un’informe macchia di varie tonalità di verde che interrompe un susseguirsi di monotoni e ripetitivi tetti, un tocco di colore capace di ravvivare città tristi e abbacchiate, abitate da nobili, aristocratici, poveri diavoli, tutti altrettanto routinari. Il giardino d’inverno degli zar di Russia si trova a San Pietroburgo, nella parte posta a nord della città. Sasha stava trotterellando per il parco, correva lungo il viale principale, ampio e tutto ricoperto di sassolini bianchissimi, che tagliava il giardino da est a ovest. Era con il padre, un commerciante che gestiva un piccolo negozio in centro città, vendeva stoffe e materiali per il taglio e cucito.
Alessio Baù, Il giardino d’inverno, in Racconti notturni
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