“Scrutò alcuni istanti quella
quercia, che all’apparenza era una comunissima e banalissima pianta un po’ più
vecchia del normale e che la tradizione favolistica riconduceva ai racconti
inventati da Carlo Collodi. Ma la maestra sapeva bene che nella tradizione
popolare quella quercia era chiamata anche la quercia delle streghe. Si narra
che, nel medioevo, sui rami di quella quercia si riunissero tutte le streghe
della zona, tutte le notti di luna piena. Lì le vecchie megere confabulavano e
creavano incantesimi per seminare tra gli uomini paura e morte. I rami di
questa quercia si estendevano in orizzontale e verso nord, anziché verso
l’alto, perché le streghe vi si sedevano sopra per ore e ore schiacciandoli. Molti
sostengono che di notte, quando la luna è piena, ancor’oggi si sentano
provenire da quell’albero strani rumori simili a sussurri e risolini; qualcuno
ha anche giurato di avere visto qualcuno seduto su quei rami. Ma tutte queste
erano solo storie popolari, che i vecchi raccontavano ai più piccoli nelle
fredde serate invernali, quando l’intera famiglia si riuniva intorno al fuoco
per scaldarsi prima di coricarsi”.
Alessio Baù, La quercia, in Il canto della
cicala
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